Chi teme di soffrire, soffre già di ciò che teme: autosabotaggi e immobilismo

Nel cuore delle parole di Michel De Montaigne si cela un’illuminazione su una verità universale: la paura è un boomerang che torna indietro per colpire chi la lancia. 

Eppure, quanti di noi continuano a vivere prigionieri di questa stessa paura, incapaci di muoversi per timore del dolore?

L’immobilismo generato dalla paura della sofferenza è una trappola subdola che molti si ritrovano a vivere senza rendersene conto. La consapevolezza del pericolo diventa una gabbia dorata, dove il confortevole terreno dell’inazione sembra offrire protezione, ma in realtà imprigiona l’anima in uno stato perpetuo di stagnazione.

Non c’è spazio per le mezze misure quando si affronta la questione dell’autosabotaggio. È un fenomeno che si insinua nelle pieghe più oscure della psiche umana, minando la fiducia e sabotando ogni possibilità di crescita e realizzazione personale. È come un virus invisibile che corrompe l’autostima e mina la volontà di agire.

La paura che ci blocca

Nella vasta gamma delle emozioni umane, la paura emerge come una delle forze più potenti e pervasive. È un’emozione primordiale, radicata nel nostro istinto di sopravvivenza, ma può anche manifestarsi in forme più sottili e complesse, influenzando profondamente il nostro benessere psicologico. 

Tra le paure più comuni che gli individui affrontano quotidianamente, c’è quella della sofferenza. Tuttavia, paradossalmente, il tentativo di evitare la sofferenza può portare a un’esperienza di sofferenza ancora più intensa e persistente.

La paura è una risposta naturale agli stimoli che percepisce come minacciosi o pericolosi. È un meccanismo di difesa che si attiva per proteggerci dai danni fisici o emotivi. Tuttavia, quando la paura diventa eccessiva o irrazionale, può limitare la nostra capacità di vivere pienamente e felicemente.

La paura della sofferenza è infatti una delle paure più universali e comprensibili: nessuno desidera provare dolore o disagio, quindi è naturale cercare di evitarli. Ma quando questa paura domina la nostra vita e determina le nostre scelte, può trasformarsi in un’esperienza di sofferenza e privazione continua. Come mai? 

Ciò che spesso accade è che, mentre cerchiamo di evitare la sofferenza a tutti i costi, finiamo per concentrarci su di essa in modo ossessivo. Diventiamo iper-vigilanti nei confronti di qualsiasi segnale di possibile dolore, restringendo così il nostro campo di esperienza e impedendo di fatto la nostra capacità di godere appieno della vita. In altre parole, la paura stessa diventa fonte di sofferenza.

Come uscire dallo stagno che ci inghiotte?

Una via d’uscita da questo ciclo è l’accettazione della sofferenza come parte inevitabile della condizione umana. Accettare che il dolore e il disagio fanno parte della vita ci libera dalla costante lotta per evitarli. Ci consente di abbracciare la nostra intera gamma di emozioni, comprese quelle negative, senza giudizio o resistenza.

La consapevolezza è una pratica che ci permette di entrare in contatto diretto con le nostre esperienze interne, comprese le emozioni dolorose. Quando pratichiamo la consapevolezza, impariamo a osservare i nostri pensieri e le nostre sensazioni senza essere sopraffatti da essi. Questo ci dà la libertà di scegliere come rispondere alle nostre esperienze, anziché reagire automaticamente per evitarle.

Voglio soprattutto porre l’attenzione su un aspetto che a volte sfugge dalle percezioni umane: la felicità autentica non è assenza di sofferenza, non è controllo su eventi esterni incontrollabili, ma piuttosto la capacità di affrontare le sfide della vita con coraggio e compassione. Quando accettiamo la sofferenza come parte integrante dell’esperienza umana, possiamo liberarci dalla paura che ci tiene prigionieri e aprire la porta a una vita più ricca e significativa.

La consapevolezza è l’arma segreta contro l’immobilismo e l’autosabotaggio

Quando siamo consapevoli delle nostre paure e dei meccanismi che ci tengono prigionieri, possiamo iniziare a smontare i trigger emotivi per iniziare il cammino verso la liberazione dalle prigioni che noi stessi ci creiamo.

Non è un percorso facile, lo ammetto. Per questo in tanti si rivolgono alla psicoterapia e non bastano i manuali di auto-aiuto (che una volta chiusi, ci fanno ritornare nello stesso salotto in cui tante volte ci siamo sentiti senza potere di agire). 

È una lotta contro il proprio io più oscuro, contro le convinzioni radicate e le abitudini consolidate.

Ma è una lotta che vale la pena combattere. Perché dall’altra parte della paura c’è la libertà. La libertà di essere veramente sé stessi, di perseguire i propri sogni e di abbracciare la vita con coraggio e determinazione.

Quindi, lasciate che questa sia una chiamata alle armi contro l’immobilismo e l’autosabotaggio.

Non lasciate che la paura vi tenga prigionieri. Affrontatela, guardatela negli occhi e imparate a farvela amica. 

Perché solo così potrete liberarvi dall’incubo della vita bloccata e vivere veramente, pienamente, senza timore né rimpianti.

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